Nella Filosofia, le premesse sono le proposizioni che costruiscono la base logica per la conclusione di un’argomentazione. Per esempio: Premessa 1: "Solo gli esseri umani pregano; gli angeli non pregano." Premessa 2: "Io sono un essere umano." Conclusione: "Pertanto, posso pregare."
Fratelli e sorelle, il titolo suggerito allude alla riflessione che stiamo per fare, non perché sia ovvio che è un essere umano a pregare, cantare, intercedere e supplicare, ma perché ancora oggi troviamo una tentazione: quella di separare la vita spirituale dalla vita concreta. Ecco uno dei motivi che il nostro amato Papa Francesco ha sottolineato con veemenza. Come dice lui: “Spesso succede che non preghiamo, o non abbiamo voglia di pregare, o non sappiamo, o preghiamo come dei pappagalli, con la bocca, ma il cuore distante. È il momento di dire allo Spirito Santo: Vieni, vieni Spirito Santo, riscalda il mio cuore!” (Udienza generale nella Biblioteca del Palazzo Apostolico "La preghiera e la Trinità", 17/03/2021)
Tre spunti per la riflessione: il primo riguarda la negazione del “prendersi cura di sé”, ben trattata da Michel Foucault, intesa come la pratica dell'autoesame e riflessione etica per lo sviluppo personale, trattato in questa riflessione a discapito di una “vita spirituale”; il secondo è l’atto di credere nell’azione del Paracleto, dello Spirito Santo e la sua azione in noi; e il terzo è la lotta contro la “sindrome del pappagallo”, spesso trattata da Papa Francesco.
Iniziamo riaffermando una certezza cristiana: la preghiera è un dialogo con Dio e chi può pregare (disponersi) è un essere umano. Partiamo ora dal prendersi cura di sé, partiamo dalla radice, dalla base, dal fondamento: l'umanità creata e amata da Dio, che è propria di tutti noi, come descrive il libro della Genesi. È in questa umanità che Dio ha scelto di abitare, facendosi uomo e, quindi, santificando il genere umano con l’incarnazione di Gesù di Nazareth. Il corpo è tempio dello Spirito (1Cor 3,16-17), come ci esorta San Paolo, questo essere umano, quindi, è sacro e deve essere curato, amato e ascoltato; prendersi cura non è eccesso, è misura giusta, è equilibrio, è essere etico.
L`autoesame o, potremmo, con tutto il rispetto, anche se allontanandoci dalla terminologia filosofica corretta, chiamarlo “discernimento”, unito alla pratica orante, fa sì che il corpo esterni attraverso la recitazione o la contemplazione, quasi sempre, belle e profonde preghiere. Ma, a volte, subito dopo o prima di quel “momento”, perché osserviamo comportamenti divergenti rispetto a ciò che è stato o sarà vissuto?
Ecco una delle chiavi di lettura su cui mediteremo: può una persona dotata di una apparente pietà non metterla in pratica? Perché questa disparità nel modo di essere quando, in realtà, dovrebbe essere una realtà di una persona umanamente integrata e matura? E anche prima o dopo gli atti liturgici, o persino durante, non si tende a un cambiamento positivo? Perché le parole e le azioni non corrispondono alla persona? Potremmo dire che è una limitazione e fragilità umana, ma tutto è giustificabile per l’ingiustificabile? È il modo della persona o la mancanza di esso?
Hans Jonas parla dell’importanza di preservare l'integrità della vita umana in tutti i suoi aspetti. Come ho scritto: “La responsabilità che dobbiamo alla natura vivente non può essere concepita come altro se non la responsabilità che abbiamo verso l'integrità dell'essere. L'essere umano, nell'interagire con la natura e con le proprie capacità biotecnologiche, deve sempre considerare la totalità e l'integrità della vita in gioco. La vita umana non può essere ridotta a meri componenti biologici; è un'unità che include aspetti etici, spirituali e culturali. L'integrità della vita è un fine in sé e deve essere protetta contro qualsiasi forma di degrado o manipolazione che possa compromettere la dignità.” (Jonas, H. (1984). Il Principio Responsabilità: Saggi di un'Etica per la Civiltà Tecnologica. Rio de Janeiro: Editora PUC-Rio.)
Il discernimento, la contemplazione, i riti, le recitazioni e i canti non dovrebbero in qualche modo riflettersi con veemenza nel comportamento personale? Così, potremmo pensare: le persone che pregano sono persone integrate, e le persone integrate formano una comunità cristiana in un’esperienza di fede e vita, una comunità di persone sane, non angeliche, ma consapevoli dei propri limiti e disposte a cambiare.
Cosa succede quando non si cerca di percorrere un cammino umanizzante, etico, capace di analizzare le norme e i valori e scegliere un'alternativa possibile e rispettosa? Senza dubbio, il risultato sono innumerevoli esperienze frustranti e conseguentemente sempre tendenti all`autodistruzione.
La preghiera, quindi, non deve essere una fuga per giustificare la mancanza di etica e persino numerosi dolori e sofferenze non superati o non elaborati, come, per esempio, drammi familiari (abusi, traumi, assenze e mancanza di dialogo), deviazioni di carattere (abuso di potere, corruzione, ricatto affettivo tra gli altri), dissapori comunitari (soprattutto ideologici e di potere), in sintesi, sono le urla di una vita umanamente in continuo conflitto. La preghiera è una realtà potente e trasforma realmente le vite, ma non può essere una giustificazione per nascondere un essere umano che ha bisogno di un aiuto professionale qualificato. Senza lavorare prima sull'umanità, non possiamo costruire la persona orante.
Io prego per diventare migliore, non per essere un controllore degli altri; non si dovrebbe “pregare come prego io”, non si dovrebbe fare giudizi con un’autorità non concessa riguardo a chi “prega di più o di meno”, ma si dovrebbe camminare insieme e aiutare chi ha bisogno. Men che meno colpevolizzare gli altri per la loro mancanza di intimità con Dio. Sii tu testimone vivente e se ti servono parole per esprimere la presenza di Dio nella tua vita, saranno superflue. Non siamo “controllori della fede altrui”, siamo tutti fratelli e sorelle e il giudizio sulla disposizione interiore è di Dio.
Papa Francesco ha istituito per il 2024 l’“anno della preghiera” con l’obiettivo di promuovere e rafforzare la pratica della preghiera nella vita personale e comunitaria, per “sentirsi nella presenza del Signore, ascoltare e adorare”, dice lui, tutto come una grande “sinfonia” di preghiera.
Un anno intenso di preparazione per il “Giubileo della Speranza”, che si svolgerà nel 2025. riscoprire attraverso la preghiera l'importanza di porsi alla presenza di Dio e lasciarsi guidare dalla Sua grazia. La parola di Dio narra diversi momenti di preghiera, come lo stesso Gesù quando insegnò la preghiera del Padre Nostro in Matteo 6, 5-15. Tuttavia, Gesù avverte riguardo alla preghiera e insegna il Padre Nostro:
“Quando pregate, non siate come gli ipocriti, che amano pregare in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle strade per farsi vedere dagli uomini. In verità vi dico che hanno già ricevuto la loro ricompensa. Tu, invece, quando preghi, entra nella tua stanza e, chiusa la porta, prega il tuo Padre che è nel segreto; e il tuo Padre che vede nel segreto ti ricompenserà. [...] Perciò pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome; venga il tuo regno; sia fatta la tua volontà, così in terra come in cielo [...]”
Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che la preghiera è l’elevazione, un incontro della mente e del cuore con la volontà di Dio, una risposta alla sua chiamata, un’esperienza di comunione. Come si legge al paragrafo 2560 del CIC: “Se conoscessi il dono di Dio!” (Gv 4, 10). La meraviglia della preghiera si rivela precisamente presso i pozzi dove andiamo a cercare la nostra acqua: è lì che Cristo viene incontro a ogni essere umano; Egli anticipa il nostro cercarLo ed è Lui a chiederci da bere. Gesù ha sete, e la sua richiesta sgorga dalle profondità di Dio che ci desidera. La preghiera, che lo sappiamo o meno, è l’incontro tra la sete di Dio e la nostra. Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui.”
San Cipriano di Cartagine ci dice: “Dio non accetta il sacrificio di coloro che promuovono la disunione; essi devono prima riconciliarsi con i fratelli. Dio ci ordina di offrire il nostro sacrificio di preghiera e adorazione in pace, affinché possiamo essere figli di Dio, che è pace e unità.” (Sulla Preghiera del Signore, capitolo 23).
Il nostro coraggioso Beato Giacomo Alberione, vedendo e sentendo la necessità di cercare una giusta misura, creò ciò che denominò il “carro paolino”, quattro ruote di un carro per aiutare a lavorare l’essere umano integralmente: la prima ruota è una vita orante; la seconda, lo studio; la terza, l’apostolato; e la quarta, la povertà o vita comunitaria. Nessuna si sovrappone alle altre, tutte devono camminare insieme.
Si parte dalla preghiera (di una persona) e con essa cerchiamo ogni giorno di vivere una “vita eucaristica”, nella forza della parola di Dio; con lo studio non formiamo una fede mitica o disincarnata, ma una fede che si esprime attraverso la fede e la ragione; nell’apostolato, la passione per l’annuncio del regno di Dio, troviamo il senso del far si che Paolo sia vivo oggi; e nella vita comunitaria, l’esercizio di tutto ciò per cui preghiamo, studiamo e lavoriamo, tradotto in gesti concreti.
Come dice riguardo allo sviluppo della personalità: “naturale, soprannaturale, apostolica. Nella Famiglia Paolina sono ben determinati i fini. sono indicati ed abbondanti i mezzi, specialmente il tempo, in cui l’anima nell’ora di adorazione entra in comunicazione con Dio, e matura, assimila ed applica quanto ha appreso; sono ben contemperate le disposizioni con la libertà e lo spirito di iniziativa. In generale, chi ne approfittò, molto progredì: nello spirito, nella parte amministrativa, nello studio, nell’apostolato, nella formazione generale. Forse vi fu un eccesso di libertà,per cui qualcuno ne abusò, con le conseguenze che derivarono. Questo modo richiede, è vero, profonda persuasione; cioè, l’istruzione, profonde convinzioni; uso dei sacramenti, direzione spirituale, pensiero dei novissimi, tengono la persona sopra la retta via o, se deviata, la richiamano. È modo più faticoso e lungo, ma più utile. L’educazione ha come scopo di formare l’uomo ad usare in bene della sua libertà:per il tempo e per l’eternità.” (AD, 146-150)
Il contraddittorio è incorrere nella tentazione di confessare molte persone ogni giorno, ma essere incapaci di cercare la riconciliazione con il fratello o la sorella che vive con me; preparare innumerevoli ritiri, incontri, omelie, ma al momento di mettere in pratica la Parola di Dio, collaborare alla disarmonia della comunità; celebrare con i fratelli e le sorelle di altre comunità religiose, ma essere incapaci di stare insieme ai miei fratelli e sorelle nei momenti di convivenza, di accoglienza, di prossimità e rispetto; gioire per i successi degli altri, ma essere incapaci di gioire per la vittoria del mio fratello e della mia sorella che vivem con me. Questa triade deve risuonare con forza: naturale, soprannaturale e apostolica, o potremmo dire: un essere umano integrato, un umile mistico e un fervente apostolo.
In questo caso, la pietà non è garanzia di salvezza, al contrario, dove abbonda la pietà, deve abbondare prima di tutto l’umanità. Ora, affinché il cammino sia arduo, non basta fare o recitare, è necessario assumere nella vita ciò che preghiamo in modo tale che non diventi un peso o un obbligo, ma una realtà di amore e riconciliazione. Ecco la questione: un essere umano sensibile, di preghiere concrete e con azioni etiche. È relazione, è relazione prima con sé stessi anche dove Dio abita; questa è la prima testimonianza che si deve dare, di umanità.
O Gesù Maestro, che si è incarnato nell'umanità e non solo ha parlato, ma ha dato testimonianza attraverso gesti, parole, azioni e decisioni, fa' che tutto ciò che realizziamo nella preghiera si trasformi in pratica nella nostra vita. Che possiamo configurare le nostre vite a Te, specialmente seguendo l'esempio della Tua accoglienza, ascolto, aiuto e amicizia. Amen.